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A 15 de Fevereiro de 2015, chegará às livrarias alemãs, austríacas e suíças a edição alemã do romance "Uma Casa na Escuridão" com o título "Das Haus im Dunkel", tradução de Ilse Dick, publicado por Septime Verlag.
"Das Haus im Dunkel" ist der Titel des José Luís Peixoto neuer Roman in Deutsch. Übersetzt von Ilse Dick, von Septime Verlag. In den Buchhandlungen auf 15. Februar 2015.
Der Erzähler, ein junger erfolgreicher Autor, führt den Leser in ein altes, von einem verwilderten Garten umgebenes und für einen Monat im Jahr in Dunkel versunkenes Haus. Er bewohnt dies mit seiner vom Lebensschmerz gezeichneten Mutter, der stillen Sklavin Miriam und unzähligen, sämtliche Räume bevölkernden Katzen. In ihm selbst lebt seine Geliebte, eine wunderschöne, der eigenen Fantasie entsprungene Frau.
In diesem, nach festen Regeln uralter Ordnung lethargisch dahindämmernden, Mikrokosmos taucht plötzlich wie ein Vorbote der großen Finsternis ein alter Freund aus Kindertagen auf, der Prinz von Calicatri. Eine vom Prinzen angekündigte »Invasion der Barbaren« wird zur schrecklichen Realität. Viele Menschen fliehen aus der Stadt, doch einige bleiben, um sich schicksalsergeben dem Unvermeidlichen zu fügen. In furchtbarer Grausamkeit werden sie von den Invasoren entsetzlich zugerichtet, und auch das Haus im Dunkel und seine Bewohner werden von ihnen heimgesucht und nicht verschont.
Zielsicher und mit leichter Hand spinnt José Luís Peixoto ein Netz, in dem Vergangenheit und Gegenwart, Reales und Irreales miteinander verwoben werden, gewährt Einblicke in Gefühlswelten und verflicht zarte Bande mit menschenverachtender, sinnloser Gewalt.
"Luz da Intensidade" é o primeiro volume crítico publicado exclusivamente sobre a obra de José Luís Peixoto.
Detendo-se especialmente nos romances "Nenhum Olhar", "Uma Casa na Escuridão" e "Cemitério de Pianos", aborda com profundidade uma grande parte dos temas sugeridos pela obra romanesca de José Luís Peixoto.
Luís Carmelo (Évora, 1954) é autor de uma vasta obra literária e ensaística, de onde se destacam dez romances (com destaque para A Falha, adaptado ao cinema por João Mário Grilo em 2002) e quinze livros de ensaio (incluindo o Prémio A.P.E. de 1988) sobre semiótica, teoria da cultura, literatura e o cruzamento multidisciplinar de expressões contemporâneas. Doutorado pela Universidade de Utreque (Holanda), o autor é professor na Escola Superior de Design (IADE), membro da Associação Portuguesa de Escritores (A.P.E.) e da Associação Internacional de Semiótica (I.A.S.S.-A.I.S.).
Critica de Una Casa nel Buio/Uma Casa na Escuridão, in Il Riformista
De Fillipo La Porta
Dall'estremo della penisola iberica ci giunge un romanzo allegorico, scritto in una lingua evocativa e fortemente lirica, che tenta di decifrare un destino solitario, estremo, ma che forse ci appartiene. Uno degli effetti positivi della globa1izzazione è che nel modello (oggi dominante) della rete ogni luogo è sia centro che periferia. E così la periferia lusitana, apparentemente arretrata e un po' in disparte, può ridiventare per un attimo centralissima e cuore palpitante della contemporaneità.
«Mi dondolavo pianissimo. come se mi fossi addormentato dondolandomi e le gambe continuassero meccaniche a puntarsi a terra e a sollevarmi lentamente...». Fin dalla prima pagina di Una casa nel buio (La Nuova Frontiera, traduzione di Vincenzo Russo, introduzione di Luis Sepulveda, 267 pagine, 16,50 euro) di José Luis Peixoto, scrittore portoghese trentenne al suo secondo romanzo (dopo il notevole Nessuno sguardo, narrazione onirico ‑ realistica del Sud del mondo), scopriamo che lo stato creativo per eccellenza è il dormiveglia, la semicoscienza, appunto il dondolarsi sulla veranda verso la fine dell'estate, come se si fosse addormentati. Da questo stato emergono ricordi, sentimenti, immagini, interrogativi sull'esistenza. Peixoto diffida di un troppo "pieno" di coscienza: se infatti si è troppo vigili succede che il nostro io ingombrante riempie tutto lo spazio a disposizione. Non riesce ad affiorare nient'altro di diverso da me. Mentre la letteratura dovrebbe allentare i vincoli dell'io, e così assomigliare idealmente alla danza e all'estasi. Il romanzo estatico di Peixoto sembra originarsi da una insonnia stordita, felice e al tempo stesso angosciata. Il suo universo sfugge ad una logica normale, asimmetrica e si imparenta invece con la logica spaesante e simmetrica dell'inconscio, quella per cui se A è maggiore di B anche B può essere maggiore di A: una donna, qui la sua traduttrice può infatti essere contemporaneamente la più bella e la più brutta, e la vita stessa può coincidere con la morte.
La trama è appena suggestione e pretesto: in una casa isolata e buia alcuni personaggi, tra cui l'io narrante, sua madre, la schiava Miriam (il suo tocco era fragile, «come una ragnatela, come un velo, come una brezza»), il Violinista, sembrano ricercare un senso all'amore mentre tutt'intorno dei barbari hanno invaso il paese. L'autore vuole pronunciare la parola «amore» fino a consumarla, fino a penetrare dentro il suo centro vuoto, come è vuoto il suo cuore («il luogo del mio cuore senza il mio cuore») e come è vuoto il centro della terra. Tutto il romanzo, che parla impudicamente di felicità e di sentimenti primari è una ricerca del vuoto insondabile ma anche prezioso, potenzialmente creativo, racchiuso dentro ogni pieno. Nella pagina di Peixoto, luttuosamente barocca, sentiamo respirare e agitarsi il corpo umano, un corpo che marcisce, che si disfa, che imputridisce, che si riempie di buchi e di macchie per la peste incipiente, mentre nello spazio circostante si muovono esseri umani che sembrano ombre. E anche l'iterazione musicale della prosa ha un timbro barocco, come quando tre intere pagine sono riempite dalla frase «voglio morire». Si conclude con un grande incendio, in cui brucia tutto, i mobili, il pavimento, i ritratti nel corridoio, in cui la sensazione di essere felice coincide con il presentimento della fine e il cielo si prepara a far cadere la notte su di noi. La verità ultima che il romanzo ci consegna sembra bruciare ogni cosa, quasi in un atto sacrificale.
Benché questo giovane talento portoghese sia stato avvicinato al connazionale José Saramago (ma è più visionario e meno affabulatore), il suo è un romanzo - poema che termina con 12 poesie ispirate al libro stesso. In ciò non distante dalla tradizione letteraria italiana, poco romanzesca e impregnata di lirismo, autobiografismo, prosa d'arte. A volte la musicalità poetica è insistita e potrebbe far nascere qualche sospetto di iperletterarietà. Però rispetto ai nostri scrittori attuali Peixoto ci sembra assai più viscerale, come se ogni frase del suo libro fosse una sfida radicale, struggente al nulla che incombe sulle nostre esistenze.
Critica de Una Casa nel Buio/Uma Casa na Escuridão, in Liberazione.
De Marco Peretti
Eros e Thanatos, amore e morte, un campo di battaglia che ha per posta in gioco la vita, la conservazione della specie umana. Sperare di placare questo conflitto con la musica, la letteratura, le arti può essere un'illusione. «E' già notte e i barbari non vengono. / E' arrivato qualcuno dai confini a dire che di barbari non ce ne sono più. / Come faremo adesso senza i barbari? / Dopotutto quella gente era una soluzione».
L'attesa dei barbari può essere un buon alibi al disagio della civiltà, che è poi il disagio di convivere con noi stessi, ma dietro i versi del grande poeta greco Kavafis si nasconde, ironico, l'avvertimento: il problema è dentro di noi. Lo stesso grido di speranza e di ricerca d'amore che in toni surreali sembra lanciare José Luís Peixoto nel suo romanzo Una casa nel buio (trad. di Vincenzo Russo, La Nuova Frontiera 2004, euro 16,50) ma forse è già tardi e i barbari possono ancora essere utili.
Appena trentenne, José Luis Peixoto è già riconosciuto come una certezza della nuova letteratura portoghese. La sua vena malinconica è una lenta rappresentazione dell'elaborazione del lutto per un mondo sempre più in rovina cui il poeta, però, guarda ancora con gli occhi stupiti del bambino. L'immaginato si sovrappone al vissuto, il surreale e l'onirico ‑senza scansione del tempo ‑ diventano necessità del presente. La maturità della sua scrittura ‑ scarna ma essenziale ‑ cela il piacere per la poesia, per il verso che ritorna. La ripetizione è ostentata, quasi a negare la ricerca dei sinonimi, a negare la prosa. Romanzi, i suoi, che vanno letti a voce alta per goderne del ritmo.
Primo capitolo. L'amore. Un colpo d'ascia e il padre del narratore, ormai in fin di vita, uccide la schiava. Il figlio, allora bambino, aveva sentito tante volte la madre alzare la voce per coprire i suoni da uomo e da donna che uscivano dalla stanza chiusa e quel giorno pensò che quello era il senso più profondo dell'amore, per quello la madre avrebbe voluto esser al posto della schiava. Ora le notti son passate e come il padre che scriveva sonetti il narratore è uno scrittore. A chi gli domanda cosa scrive risponde che scrive se stesso. Lui sa che quando chiude gli occhi la vede, sa che è bellissima, la scrive e l'ama. Quel volto immaginato è identico a quello incorniciato su una tomba e quindi un giorno scoprirà che ha un cadavere dentro di sé.
Ultimo capitolo. La morte. La casa brucia. Brucia la scrivania su cui il padre scriveva sonetti, brucia il divano su cui la madre si era sdraiata tante notti, ma lei, tra le fiamme, o lei fiamma, torna per dirgli «ti amo». Il narratore nella casa che brucia per un momento è felice e muore.
«La felicità come l'amore sono momenti… momenti che la fine rende ridicoli... ma ridicoli solo prima e dopo... Non si deve aver vergogna di esser felici per qualche momento. Non si deve aver vergogna del ricordo di esser stati felici per qualche momento».
Tra l'amore e la morte nella casa nel buio, lenti passano i giorni ‑ indifferenti per il poeta che non crede più al futuro ‑ e scorre l'allegoria di Peixoto su una civiltà che non si volta più quando sente enunciare la parola amore. È una civiltà che ha bisogno dei barbari. I barbari sono una soluzione e puntualmente arrivano, mutilano, violentano, brutalizzano. Sono barbari.
Al Signor Violinista - nella casa avevano inventato le sette note - tagliano le mani e non potrà più suonare. Alla madre dello scrittore conficcano un ago nei timpani e non potrà più sublimare il dolore con la musica. Allo scrittore recidono braccia e gambe, così da diventare un giocattolo per il divertimento dei bambini dei soldati di ferro, e al principe di Calicatri, suo amico, è rimasto solo un buco rosso vivo al posto del cuore. E poi la schiava Miriam, Nessuno, il visconte di Dedodida: esseri poco umani - dai passati amori inibiti - costretti, per far fronte al buio, a tradursi in una comunità solidale. Sette personaggi, sette capitoli, «sette volte il giorno io ti lodo», recita uno dei Salmi dell'Apocalisse. Sette è il numero perfetto - dei peccati delle virtù - e sette volte il giorno i fedeli più devoti volgono la loro preghiera al Dio dei Salmi - Salmi in epigrafe, piccole lodi sul margine alto d'ogni capitolo - , un Dio che a volte sembra vendicarsi, abbandonare l'uomo, non averne più pietà.
Critica de Una Casa nel Buio/Uma Casa na Escuridão, in Class.
De Mimmo Stolfi
Una casa gotica, brulicante di gatti, schiave silenziose, madri rese folli da infelici ménage coniugali. Una casa di tenebra, percorsa da un via vai di personaggi assurdi (principi, visconti, violinisti, signor Nessuno) piagati da destini terribili, resi ancor più devastanti dall'irruzione di un manipolo di invasori demoniaci dediti a stupri, mutilazioni. sadismi e crudeltà gratuite. E poi, c'è 1ui, la voce narrante, un giovane scrittore visionario, innamorato di una donna immaginaria che lo abita dentro e che lui può vedere, e in qualche modo amare, solo chiudendo gli occhi. Un amore immateriale, certo, la proiezione mentale dell'eterno femminino, ma pur sempre un amore capace di illuminare la notte, di squarciare, seppure per pochi istanti, la tenebra del Male.
Una casa nel buio (La Nuova frontiera, 267 pagg., 16,50 euro) del trentenne scrittore portoghese José Luis Peixoto è un'onirica discesa agli inferi, cadenzata da una scrittura scarna, squarciata da lampi lirici e ricca di reiterazioni lessicali (Peixoto è anche un poeta e si sente). Ma Una casa nel buio è soprat tutto un apologo sul Male e sul silenzio di Dio (non è casuale che le epigrafi di ogni capitolo del libro siano dei salmi biblici). L'onnipotenza di Dio è morta ad Auschwitz e nelle altre mattanze del '900. Che Dio sia fragile proprio perché è Amore, è l'unica metafora che lo salva dall'assedio del male e della colpa: ma allora noi siamo responsabili nei suoi riguardi (come Egli lo è nei nostri). Che cosa significa essere responsabili di Dio lo si comprende se si rammenta l'immagine e somiglianza che legano l'uomo a Dio: essere responsabili di Dio significa essere responsabili della sua immagine, salvarla in noi e in tutto ciò che ha vita come una lucerna che i flati terribili del male (il buio di Peixoto, insomma) tentano di spegnere. Salvarla, come fa il protagonista di questo libro, anche senza saperlo.
Crítica al romanzo Una Casa nel Buio/ Uma Casa na Escuridão, in Strada Nove, 16/06/2004.
Davide Berselli.
Il senso di tutto, alla fine, è l'amore. È per dire questa semplice disarmante verità che Josè Luis Peixoto ci consegna il suo nuovo romanzo, “Una casa nel buio”, edito da La Nuova Frontiera come il precedente “Nessuno sguardo”.
Tra i due libri risuonano numerose assonanze: lo stesso canto della solitudine che l’autore portoghese innalza senza scadere nella lamentela, la stessa dimensione epica e fantastica dei personaggi e delle vicende narrate, la stessa, ineluttabile forza di gravità che sprofonda uomini e donne nella rete del destino.
C’è una casa, lontana da tutto e tutti, dove vivono uno scrittore, sua madre e una schiava. A sconvolgere la loro vita arriva prima l’emozionante scoperta della musica, nel corpo di un violinista, e poi la cieca violenza degli invasori, guerrieri crudeli che mutilano gli abitanti della casa ai quali si aggiungono il principe di calicatri, il visconte di dedodida e nessuno.
Peixoto ci regala un piccolo universo allegorico dove convivono odio e amore, violenza e affetto; è una realtà dove il passare del tempo non ha importanza, perché sono i gesti del presente che contano, sono le pulsazioni del cuore che governano ed ordinano la giornata. Potremmo definire “Una casa nel buio” un romanzo a tema, ma per la forza del suo messaggio, per la sacralità degli argomenti, per la delicata attenzione con la quale questi sono trattati, forse è più giusto parlare di parabola. Niente di trascendentale nell’opera di Peixoto, che anzi è solido nel parlare dell’uomo e dei suoi istinti; eppure, c’è un senso religioso nel trattare la storia, un rispetto profondo nel parlare d’amore, il motore della vita e dei suoi accidenti. Lo stesso modo di scrivere del portoghese, con le sue formule ripetute, con il suo andamento da litania, le invocazioni ricche e poetiche, avvicinano la prosa alla forma della preghiera: non è forse indicativa la scelta di brani dal Libro dei Salmi come epigrafi dei sette capitoli?
Peixoto è grande nell’avvicinarsi ad un tema immenso e difficile come l’amore senza scottarsi: perché non è presuntuoso eppure è un ottimo narratore, perché non parla complicato eppure è profondo. Ogni singola parola, ogni personaggio, ogni brandello della storia è fatto d’amore; i protagonisti di “Una casa nel buio” si aggrappano come naufraghi all’amore per non cadere nel buio e nella morte, per vivere. E chi legge Peixoto si aggrappa alla sua poesia per non scivolare nel grigio che ci circonda.
Introdución de Luis Sepulveda a la edición italiana de Una Casa en la Oscuridad/ Uma Casa na Escuridão (Una Casa nel Buio, La Nuova Frontiera, 2003)
Primero conocí la poesía de José Luis Peixoto, cautivadora, impecable y llena de una extraña fuerza que combina los ineludibles guiños a los poetas mayores de lengua portuguesa, con la visión de un creador joven, entendiendo la juventud –no como una absurda”promesa”- como el ejercicio más amplio de la curiosidad.
Luego, me acerqué a la prosa de Peixoto y la lectura de “Nenhum Olhar “ me dejó el extraordinario buen sabor que siempre dejan los autores que, empiezan a contar su historia desde la primera línea, y son fundadores de un espacio, de un territorio, de un universo que sólo es posible en la literatura. Los mapas de la literatura no tienen cuatro miserables puntos cardinales, tienen muchos, su cantidad es infinita, y esto es algo que Peixoto evidencia con singular maestría.
Así, el lector de Peixoto se asoma a las páginas de “Uma casa na escuridâo” con la disposición de participar en una aventura cuyo escenario, cuyo territorio es presentado por el autor como la única normalidad posible. En este caso, Peixoto se ha decidido por la oscuridad, mas no por la oscuridad de los ciegos o de la simple ausencia de luz. La oscuridad de Peixoto es una alegoría de la decadencia imperial, del fin de una época pasado, presente, o por venir, acaso del fin de todos los tiempos.
Mientras leía “Uma casa na Escuridâo” no dejaba de pensar en cuánto hubieran disfrutado de esta novela escritores como Lezama Lima, Julio Cortázar, Borges y Calvino, pues esos maestros nos enseñaron que uno de los grandes desafíos de la escritura-tal vez el mayor- es resolver con acierto el “inmiscuir” todo el bagaje de lector del escritor, sin que esto se transforme en un lastre, en un elemento de distracción respecto de la trama, o en una triste demostración de vanidad.
José Luis Peixoto lo resuelve con envidiable maestría, su escritura es en todo momento fresca, ágil, envolvente, y al mismo tiempo es sostenedora de toda una herencia literaria universal.
Recuerdo una conversación con Juan Carlos Onetti, en ella, el gruñón maestro uruguayo me decía que desconfiaba de las novelas escritas por poetas –sólo excluía a Homero-, porque se les notaba demasiado “la mano de poetas”, para mal de la novela.
Onetti también habría disfrutado con la lectura de “Uma casa na Escuridâo”, pues en la novela de Peixoto, ciertamente que se nota su mano de poeta, pero al servicio del fin que se impuso como narrador, y que es el crear destellos de intensa luminosidad, que orientan –y el lector no dejara de agradecerle- en el territorio de la oscuridad, de una oscuridad condensada como una genial metáfora de las decadencias imperiales, de una oscuridad densa como sólo puede ser la oscuridad presentida de una fila de sepulcros, en las que están; mi padre, el padre de mi padre, el padre del padre de mi padre, seis generaciones, y al final, la mía.
La escritura de Peixoto es limpia e inteligente. En ninguna de sus páginas el lector encontrará esas abominables “última verdad” u otras paparruchadas que caracterizan la imposibilidad de narrar de muchas y muchos literatos, y la remplazan por un urgente decir algo, cualquier cosa que cubra sus vacíos. Y esto es algo que también el lector agradece a Peixoto. Estamos frente a una escritura sobria, de portuguesa sobriedad, que le permite, por ejemplo, escribir, narrar, la más bella e intensa descripción de la soledad: A partir de un simple e ingenuo ejercicio de jugar con los restos de luz atrapados en los párpados, el protagonista-narrador crea un personaje dentro de él, es una mujer, es La Mujer, y la llevará siempre consigo con la terrible certeza de que no habrá más cercanía que la permitida por la oscuridad. Esa es la invención de la soledad.
Peixoto no puede-y no debe- prescindir del enorme poeta que habita en él. Como Poeta, es consciente del poder fundador de las palabras, y como narrador sabe hacer de ellas el sólido elemento que sostiene la arquitectura de la novela. Sin la menor pretensión de “experimentalismo” literario, reitera desde la oscuridad, repite frases que una vez más orientan, otorga a las palabras una sensual cadencia que ilumina. No es contradictorio sostener que estamos frente a una novela muy visual, cargada de imágenes, de fotoramas, es particularmente significativo el recurso de prescindir de las mayúsculas en los nombres propios, pues nada debe perturbar el paseo por “Uma casa na Escuridâo”. En esta novela el lector no tropieza con nada, pues nada debe interrumpir el lento e inexorable decaer, desear el fin, el fin de la oscuridad.
José Luis Peixoto nos conduce por el laberinto de sentimientos, precisos o confusos, de perplejidad o resignación, de rebeldía o desconsuelo. Nombra y vuelve a fundar esos “Elementos del Desastre” a los que alude Álvaro Mutis, y lo hace “ como si desapareciera una letra del alfabeto y, a partir de ese momento, todos los libros tuvieran que ser escritos sin esa letra”.
Estamos pues frente a un escritor maduro. Frente un estupendo narrador portugués.
Crítica em portal uol.com.br, em 24/01/2010
Por Daniel Benevides
"Era uma vez o fim de tarde." A um só tempo muito familiar e estranha, a primeira frase dá o tom do terceiro romance do premiado escritor e poeta José Luís Peixoto, lançado em Portugal em 2002 e agora aqui. Pois "Uma Casa na Escuridão" pertence a um gênero único, misto de fábula apocalíptica, realismo mágico e prosa poética. Algo entre o Ítalo Calvino de "Um Visconde Partido ao Meio" e "Nos Penhascos de Mármore", do Ernst Jünger. Mas com o inconfundível toque de melancolia da terra de Camões.
A história começa suavemente, com o mencionado fim de tarde. Sabe-se, no entanto, que há uma ameaça no ar. As epígrafes, falando de misericórdia e crueldade, colocam, de cara, nuvens negras sobre o texto. O narrador é, por acaso ou não, um conhecido romancista, para quem as palavras têm poderes especiais. Elas são capazes, por exemplo, de conjurar, tornar concreta, "a mais bela mulher do mundo".
Na casa do título vivem, num estado de torpor contemplativo, o narrador, sua mãe apática, o pai moribundo e as prestativas escravas madalena e miriam (assim mesmo, com minúscula, como os demais nomes no livro), além de um bando de gatos, que se acumulam pelos cômodos e corredores. A tranqüilidade só é perturbada pela escrita febril do narrador, que assim dialoga com a amada que lhe surge na imaginação. "Dentro de mim, ela existia para lá de mim", escreve.
Uma violência inusitada começa a dar as caras quando o pai, antes do último suspiro, aplica uma machada no peito de madalena, que era sua amante. A cena, descrita com naturalidade, mostra que estamos em um terreno movediço, entre o real e o absurdo. Jorra o sangue, e as palavras continuam a fluir indiferentemente, em seu ritmo encantatório, às vezes se repetindo, como num mantra, numa cantata.
A partir daí, as surpresas se sucedem, prendendo o leitor, que, no entanto, não sabe bem o que pensar. E nem precisa. No curioso mundo de Peixoto há espaço para tudo, sem discriminação, inclusive a ironia. Dentro do romance, por exemplo, é crime editores recusarem originais de novos autores. O próprio editor do narrador está preso e acaba morrendo trespassado por uma lança, no momento em que liderava uma rebelião.
Se a literatura - ou o mau uso dela - tem esse peso, a música simplesmente inexiste, no que talvez seja outro golpe de ironia. É preciso surgir um violinista estrangeiro, alguém de fora do âmbito do livro, para que ela entre na história, embevecendo os personagens. Mas o andamento ora distendido, ora brusco do romance, trata logo de destruir esse enlevo sonoro. É quando surge a escuridão, na forma de uma horda de bárbaros com barbas até a cintura, empunhando espadas de fio cruel. O engraçado é que, na correria, em meio ao pânico, a população faz filas nas livrarias, como se os livros fossem produtos de primeira necessidade (bem...são, né? Ou não?).
Contar mais seria deselegante. O que se pode dizer é que, como se quisesse combater um excesso de delicadeza ou lirismo, o autor adiciona elementos de extrema brutalidade, deixando o singelo "era uma vez" inicial com cara de porta para o inferno. Trechos de salmos abrindo os capítulos dão mesmo uma proporção bíblica às mutilações reais e metafóricas que se seguem.
"Uma Casa na Escuridão" é, em suma, um livro profundamente desencantado, mas escrito num estilo de excêntrica beleza. A contradição aparente entre forma e conteúdo provoca um peculiar efeito de distanciamento. Peixoto, cujo "Cemitério de Pianos" também foi lançado por aqui, não parece querer chocar o leitor, ainda que suas imagens cheguem às raias de um horror impensável. Sua obra é antes, como bem alerta a orelha, uma alegoria da falência da civilização. A intensidade lírica, no entanto, sugere menos uma proposta de reflexão e mais uma emocionante tentativa de expiação. A culpa, afinal, é nossa.
Le Monde Diplomatique, Juin 2006
Par Marina da Silva.
José Luís Peixoto est né en 1974, avec la « révolution des œillets », à Portalegre, dans le sud du Portugal. Encore méconnu en France – mais même José Saramago a dû attendre l’âge de 76 ans pour jouir de la reconnaissance du prix Nobel et sortir de l’indifférence et de l’ignorance qui pèsent sur la culture portugaise –, Peixoto est une étoile montante en son pays. Son premier roman, Sans un Regard, paru en 2000, lui assure une renommée immédiate, couronnée en 2001 par le prix José-Saramago de la meilleure œuvre de fiction en portugais d’un écrivain de moins de 35 ans, puis le Pen Club et le grand prix de l’association portugaise des auteurs pour le roman et la nouvelle. Un recueil de poèmes, A Criança em Ruínas (« L’enfant dans les ruines »), lui valut également d’être distingué, juste avant cetteMaison dans les ténèbres, parue en 2002 et publiée cette année en français.
C’est donc avec un vrai étonnement que l’on rentre dans le monde de cet écrivain à la plume bohème et curieuse, aussi libre que rigoureuse. L’écriture semble ne receler aucun secret pour lui. Il en aime toutes lesformes, toutes les inventions et expérimentations.
Que nous raconte ce roman, dont la quatrième de couverture annonce« un monde lugubre, mécanique et brutal » ? Un écrivain, le narrateur, vit reclus dans une maison « plongée un mois par an dans l’obscurité la plus totale », avec sa mère, silencieuse, immergée dans une immense douleur dont on ne connaîtra pas la cause, avec une jeune esclave dévouée, et... une foule de chats. En outre, le narrateur semble flirter avec la folie, vivant avec la femme qu’il aime « à ceci près que cette femme n’existe pas ». Elle est « l’héroïne du roman qu’il est en train d’écrire tout en luttant contre l’obscurité qui, chaque jour, gagne du terrain sur cette maison hors du temps... ».
Cousu de fil blanc ? Pas du tout. Cousu de fils de couleur, de teintes de gouache, de matières à sculpter, entremêlant l’ombre et la lumière, la violence, surtout lorsqu’elle est indicible et qu’il faut aller l’exhumer de son oubli et de sa dissimulation. Se confrontant avec la fièvre de l’écriture, ses aspérités, qu’il va chercher jusqu’à la racine. Interrogeant l’amour, son incarnation et sa désincarnation, le basculement entre son absence et sa présence. Questionnant le monde et sa cruauté, l’écriture et ses frontières, là où création et réalité s’estompent.
Une maison dans des ténèbres annonciatrices de désastres, mais où, contre la barbarie et l’agonie du monde, l’écrivain demeure dans une posture éthique de résistance et dans l’éblouissement de l’écriture.
Critica de Una Casa nel Buio/Uma Casa na Escuridão, in L'Unità
De Sergio Pent
Nella dimensione onirica delle narrazioni estreme, dove linguaggio e sperimentazione testuale diventano il metro di misura di un confronto sempre aperto con le potenzialità del romanzo, si muove la penna ‑ o la tastiera ‑ del trentenne portoghese José Luis Peixoto. Anche il suo secondo tour de force nel gorgo della parola sfruttata alle sue massime potenzialità espressive viene tradotto dalle edizioni La Nuova Frontiera (Una casa nel buio , pagg 267, euro 16,50), coerenti ‑ ed eleganti ‑ nel perseguire una loro discreta, ponderata ricerca nell'area narrativa portoghese e spagnola. I nomi che rimbalzano in questo nuovo libro ‑ soffocante, coraggioso, mortifero ‑ occuperebbero lo spazio di mezza recensione, per cui diremo solo che, se anche si può accennare alle radici virtuali di un Faulkner, sono ben riconoscibili i tratti ereditari del Saramago più recente, impegnato in un aspro confronto tra ricerca e meditazione sul declino antropologico dell'occidente. Peixoto insegue una personale teoria narrativa che sembra perdersi nei meandri dell'inesplicabile, là dove allegoria e metafora rischiano talvolta di perdere il contatto diretto con il lettore. È comunque un'impresa ammirevole, dettata dalla volontà di ricerca spesso difficile da trovare nei giovani narratori: Eggers, Safran Foer, sono questi ‑ forse ‑ i nomi più vicini alle ossessioni di Peixoto. Ma in questo delirante Una casa nel buio che si allontana ancor di più dal simbolismo già coriaceo del precedente Nessuno sguardo, nonché la deviazione un po' ribelle e anarchica dalle grandi autostrade tracciate da Cortàzar, Borges e Calvino.
La sostanza del romanzo risiede tutta nella sua reiterata ossessione, impalpabile quanto granguignolesca, senza tempo né spazio e tuttavia calata nell'attuale paura di nuove orde barbariche che distruggano la fragilità del nostro benessere. La casa è immersa nel buio, popolata di gatti vagabondi e abitata da un io narrante giovane e già famoso scrittore, da una madre vedova e dalla schiava miriam: tutti i nomi sono in carattere minuscolo, come per nascondersi al fragore degli eventi. Lo scrittore cerca l'amore estremo nel delirio per una donna morta che vive nei suoi pensieri, la madre e miriam recuperano ‑ o spengono ‑ l'orrore per la morte del padre e della schiava maddalena, amanti e suicidi. Quando dai confini del buio l'impero è invaso da orde barbariche spietate, alla casa arrivano altri personaggi, il principe di calicatri, il visconte di dedodida, il violinista e il signor nessuno, subito raggiunti e mutilati dagli invasori. Allo scrittore vengono tagliate braccia e gambe, al principe estirpato il cuore, la schiava miriam è l'oggetto con cui si intrattengono i barbari, in una discesa verso la distruzione della civiltà che rappresenta la più atroce delle allegorie possibili. Difficile valutare - e spiegare - l'entità fisiologica di certe relazioni testuali, paradossali quanto metaforiche. Rimane dentro, alla fine, la sensazione di un virtuosismo non gratuito, di una ricerca viscerale della parola «amore» che passa attraverso l'intreccio di questi destini assoluti, attraverso il sangue, la peste, la distruzione che da sempre caratterizzano la Storia quando il mondo sembra esplodere per poi ricominciare a girare.
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