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I test missilistici della Corea del Nord non sono iniziati con l’elezione di Trump. Nell’aprile 2012, appena salito al potere, il giovane Kim Jong-un spedì in aria il suo primo razzo a lungo raggio, che esplose circa un minuto dopo il lancio. Il missile arrivò ad un’altitudine di 94 miglia, quando invece avrebbe dovuto raggiungere le 310 per riuscire a collocare un satellite in orbita. Gli Stati Uniti dubitarono di quelle intenzioni, insinuando che si trattasse di un test missilistico segreto e inasprendo così le sanzioni già in vigore. Si stima che, dal 2012, la Corea del Nord abbia condotto cinque test nucleari e una cinquantina di lanci di missili balistici. L’ultimo di questi, avvenuto il 29 aprile scorso, non è riuscito a superare il confine nazionale ed è ricaduto a terra. Anche il precedente tentativo, registrato il 16 aprile, è stato un fallimento: il razzo è caduto poco dopo il lancio.
La Corea del Nord è un paese in cui circolano ancora camion alimentati a legna. Nella parte posteriore hanno una specie di caldaia, e un soldato, seduto accanto ad un mucchietto di legna accatastata. Emanano un fumo denso e bianco, avanzano molto lentamente. I camion Sungri-58 iniziarono ad essere prodotti in Corea del Nord nel 1958, fino alla metà degli anni ’60. Ancora oggi se ne trovano molti, soprattutto sul ciglio delle strade, con due o tre uomini in piedi davanti ad un cofano aperto alle prese con una qualche avaria. La Corea del Nord è un paese in cui si riutilizza ogni chiodo arrugginito, in cui tutto può essere rattoppato mille volte.
La povertà è difficilmente riconoscibile per la maggior parte dei turisti in visita nel paese. Da una parte, la grande povertà non esiste nella capitale, o nei luoghi in cui si recano abitualmente gli stranieri. Nonostante la mancanza di energia e altre varie carenze, le élite privilegiate vivono proprio nella capitale. Non circolano camion alimentati a legna tra i viali di Pyongyang. D’altra parte, in base alle proprie esperienze, gli stranieri identificano la miseria con il disordine e il degrado dello spazio pubblico. Ma è difficile riscontrare tali situazioni in Corea del Nord: tutto ha sempre un ottimo aspetto, da fuori.
Ci sono comunque dei dati relativi alla povertà. Le varie organizzazioni non-governative attive nel campo riferiscono che un quarto dei bambini del paese soffre di malnutrizione, con conseguenze come l’atrofia, il rachitismo, l’anemia, ecc.
Ho avuto l’opportunità di vedere con i miei occhi varie immagini di questa grande povertà nell’Est del paese, in particolare nelle regioni di Hamhung e Pujon. Dal 2012 ad oggi, ho fatto quattro viaggi in Corea del Nord. Uno di questi è durato quasi tre settimane, e insieme a diverse letture ed altre fonti d’informazione è servito da base per la redazione del libro Dentro do Segredo, uma viagem na Coreia do Norte. In quelle occasioni ho avuto modo di vedere e fotografare molti Sungri-58. Non ho dimenticato i bambini incontrati nelle regioni rurali e nelle città più remote: poco vestiti contro il freddo, sporchi, estremamente magri, lo sguardo perso, la paura, la diffidenza.
Sempre dal vivo, ho potuto assistere a due enormi parate militari a Pyongyang – nell’aprile 2012, per i 100 anni di Kim Il-sung, e nell’ottobre 2015, per i 70 anni del Partito dei Lavoratori di Corea. Nei giorni di festa in città arrivano migliaia di persone. Lungo diversi chilometri, negli ampi viali si riversano folle che acclamano e sventolano fiori ai militari, i quali sfilano sorridenti nelle loro migliori uniformi e dall’alto di veicoli da combattimento. Le piccole jeep procedono per prime, seguite da vetture che mano a mano aumentano in dimensioni e potere distruttivo. Si arriva all’apogeo con il passaggio dei missili, esibiti per la prima volta proprio nella sfilata del 2012. Parallelamente, nel cielo gli aerei si esibiscono in formazioni acrobatiche, lanciando scie di fumo colorato.
Durante queste sfilate i nord-coreani sono i soli a non accorgersi di quanto quelle macchine siano obsolete. Il fumo dei tubi di scappamento lascia l’aria irrespirabile, il loro rumore non permette di conversare. Anche da terra si nota che gli aerei sono ormai datati, come i MiG, fabbricati in Unione Sovietica negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. E se lo so io, lo sanno anche i servizi segreti americani.
Sono stato ad entrambe le estremità del parallelo 38. Ho visto la Corea del Sud dal lato nord, ed ho visto la Corea del Nord dal lato sud. Il punto più teso della frontiera è separato dal centro di Seul da meno di 60 chilometri. Eppure, quando si parla con i sud-coreani di questo argomento, raramente si dimostrano apprensivi o timorosi. Il sentimento più diffuso è la pena. In Corea del Sud, la popolazione conosce la reale situazione della penisola molto meglio di quanto non possa fare un lettore di giornali occidentale. Conosce la povertà, l’arretratezza tecnologica e militare, e sa anche che le minacce del regime di Pyongyang esistono ininterrottamente da decenni. Non sono mai cessate, e non sono iniziate con l’elezione di Trump.
Di recente gli Stati Uniti hanno installato un sistema di difesa antimissili nel territorio della Corea del Sud. Le notizie flash occidentali hanno sottolineato l’opposizione della Cina, lasciando intendere che questa presa di posizione sia dovuta alla difesa degli interessi della Corea del Nord, sua supposta alleata. Eppure, chi si è preso la briga di cercare articoli un po’ più lunghi e approfonditi, si è presto reso conto che la Cina si oppone perché teme che le sue proprie informazioni diventino permeabili al potente radar del sistema antimissili americano.
D’altronde, è curiosa la quasi totale assenza nella stampa occidentale di notizie riguardanti le manifestazioni dei sud-coreani contro l’installazione del sistema antimissili americano. Temendo le radiazioni emesse dal radar, tali manifestazioni sono terminate in violenti scontri con la polizia. Come si spiega che la popolazione sia più preoccupata dalle radiazioni che da una minaccia nucleare a pochi chilometri di distanza? Si tratta di gente che non si informa soltanto attraverso Fox News.
Le relazioni diplomatiche con la Cina sono solo un esempio dei numerosi equivoci, più o meno velati, che imperversano nella stampa occidentale dedicata al tema. Lo scorso febbraio la Cina ha smesso di comprare dalla Corea del Nord il carbone, che costituiva la principale, se non l’unica, esportazione del paese. Nello stesso periodo, i voli di Air China per Pyongyang sono stati interrotti. Sono anni che la Cina, pubblicamente e ripetutamente, chiede alla Corea del Nord di sospendere i test missilistici, ma senza ottenere alcun risultato. Nel 2013, Kim Jong-un ha ordinato l’esecuzione di suo zio, un alto ufficiale del regime, accusandolo di eccessiva simpatia nei confronti dei modelli economici cinesi. Si potrebbero facilmente elencare altri segnali che testimoniano l’assenza di relazioni tra Pechino e Pyongyang, l’eloquenza non manca negli scaffali vuoti della Corea del Nord, ma nonostante tutto si continuano a diffondere ovunque notizie di una loro alleanza.
La semplificazione, l’eliminazione di alcuni temi e l’esaltazione di altri sono i principali peccati della stampa internazionale nei confronti di questo argomento. Un altro esempio: il 7 maggio in Corea del Nord è stato arrestato un cittadino americano. Attualmente, dietro le sbarre nord-coreane ci sono 4 prigionieri americani. Dall’inizio del XXI secolo, e includendo questi ultimi, la Corea del Nord ha arrestato 17 stranieri: 15 nordamericani, 1 canadese e 1 australiano. Questi arresti hanno sempre trovato un’ampia eco nei media: le confessioni pubbliche, le condanne esagerate e senza possibilità di ricorso – otto, dieci, quindici anni nei campi di lavoro. Ma chi sa cos’è successo dopo? Di tutti gli americani arrestati in Corea del Nord, solo 3 non sono stati rilasciati prima dello scadere del primo anno. Tra loro, molti hanno scritto libri e tentato di promuovere la propria storia. Nessuno ha avuto successo. La stampa non si è preoccupata di raccontare di stanze d’hotel con guardie alla porta e, dopo mesi o settimane, la liberazione grazie all’intervento della diplomazia nordamericana.
La Corea del Nord è un paese senza risorse naturali contese internazionalmente. Ci sono dati oggettivi che dimostrano l’insignificanza del suo potere militare. Le minacce fanno parte del suo discorso da sempre, con programmi interni ed esterni. Ma quindi, perché attaccare la Corea del Nord? I più ingenui motivano con l’estrema povertà alla quale il regime assoggetta il suo popolo. A volte però ci si dimentica che gli Stati Uniti intrattengono eccellenti relazioni con paesi come il Chad, uno dei più poveri al mondo nonostante gli oltre 100 mila barili quotidiani di petrolio che i texani della Exxon Mobil ritirano ogni giorno dal suo suolo. Ci si dimentica dell’India, per esempio, che conta circa 170 milioni di poveri – individui che sopravvivono con meno di 2 dollari al giorno. Perché attaccare la Corea del Nord? Altri, altrettanto ingenui, rispondono che si tratta di un paese in cui regna una dittatura terribile. Due parole per questi disattenti: Arabia Saudita. Senza trovare riscontro all’interno della sua stessa istituzione, il Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha lanciato un allarme riguardo le frequenti pratiche di tortura ed altre forme di trattamento degradante nel sistema giudiziario saudita. Si tratta di un paese nel quale le donne hanno conquistato il diritto di andare dal medico senza chiedere il permesso agli uomini solo una settimana fa. Ma continuano a non poter guidare, né occupare una qualunque carica istituzionale, per esempio. Ed è proprio l’Arabia Saudita il paese che il presidente degli Stati Uniti ha scelto per iniziare il suo primo viaggio ufficiale all’estero.
Salvare un popolo bombardandolo, ammazzando migliaia di innocenti per salvarne altrettanti, significa non riconoscere il valore dell’altro. Significa pensare come Kim Jong-un. Significa giudicare con una superficialità criminale, assassina.
Ma se la Corea del Nord è sempre la stessa, perché si è verificato il cosiddetto “aumento di tensione”? Cos’è cambiato?
È cambiato il presidente degli Stati Uniti. Donald Trump – riflettendoci, è facile dimenticarsi che il presidente degli Stati Uniti è Donald Trump, quello di twitter, del parrucchino, delle fake news. Sarà che Trump ha qualcosa da guadagnarci, in termini di notorietà interna ed esterna, in un conflitto e nella sua conseguente vittoria militare in Corea del Nord? Se messo di fianco ad un bad guy come Kim Jong-un, anche un Trump sembra un good guy.
Oggi la popolazione della Corea del Nord supera i 25 milioni di persone. L’anno scorso, Tony Blair ha presentato le sue pallide scuse in seguito alla conferma dell’assenza di armi di distruzioni di massa in Iraq – motivo scatenante di una guerra che uccise 113 mila civili. Vogliamo ripetere la storia?
Non sto difendendo il regime della Corea del Nord. Siamo arrivati ad un punto in cui mi sento obbligato a giustificarmi per il semplice fatto di non dire quello che dicono tutti. Il tema è diventato talmente o bianco o nero, talmente buoni versus cattivi, che anche a fronte di informazioni altamente superficiali chiunque si sente in diritto di strillare insulti a lettere maiuscole nella casella dei commenti, colmi di certezze che pendono da un lato o dall’altro. Oltretutto, la penisola coreana è abbastanza distante da rendere il dibattito puramente astratto, con discorsi che servono icone a fantasmi.
Nel mezzo, tra le parole, tra i missili, ci sono 25 milioni di persone. Non sono una massa omogenea e informe, sono persone, sono un numero immenso di persone. Contrariamente da quanto si continua a scrivere e ripetere, la Corea del Nord non è Kim Jong-un. La Corea del Nord sono quelle persone. A loro, chi pensa?
José Luís Peixoto
Tradotto da Alessandra Cerioli
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