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Critica de Questa Terra ora Crudele/Morreste-me, in Liberazione

 

Di Marco Peretti

 

C'è chi ha partecipato alle guerre coloniali come furiere-infermiere, chi è stato torturato dalla Pide - la polizia segreta salazarista -, chi ha vissuto l'infanzia assistendo alla fine del regime, chi è nato nell'anno della rivoluzione dei garofani: João de Melo, Mário de Carvalho, José Riço Direitinho, Benigno de Almeida Faria, José Luís Peixoto. Chiamarli una pattuglia sarebbe di cattivo gusto, perché non solo del passato e di guerra parlano i loro libri. Parliamo dell'avanguardia di scrittori portoghesi che si è affacciata di recente in Italia, in occasione della Fiera del libro di Torino. Merito - vale la pena ribadire - di piccole case editrici, come Passigli, Scrittura pura, Instar libri, Besa editrice, Aiep, La nuova frontiera, l'ultima arrivata Cavallo di ferro. In questo drappello di nuovi narratori figura anche il giovanissimo José Luís Peixoto, autore di Questa terra ora crudele (trad. di Giulia Lanciani, edizioni La Nuova Frontiera, euro 8,50) e con uno stravagante curriculum alle spalle. Qui, in questo volumetto, dal titolo originale Morreste-me, racconta i sentimenti di un figlio di fronte alla morte del padre. «Si tratta realmente della scomparsa di una persona, di questa regola naturale alla quale contrapponiamo l'illusione che per noi non si verifichi. In Portogallo diciamo "l'unica cosa certa è la morte" ed è così. Sapere che esiste la morte, è sapere che noi oggi siamo vivi e dobbiamo approfittare di questo periodo per fare qualcosa. La letteratura deve suggerire alle persone come prendere coscienza di questa realtà». Trent'anni, pearcing e maglietta scura con una scritta argentata che grida "stop the wars", José Luís comincia così. La sua è una letteratura che parla di morte, della decadenza della civiltà. «Sì, mi servo di queste idee perché sia il lettore stesso a trovare le risposte più concrete ai grandi temi della vita. In fondo la morte è la fine e la fine la troviamo in tutto, ma ogni fine è anche il principio di qualcosa. Mi interessano le storie delle persone, la morte come la fine e l'inizio dell'amore». Larga parte della critica portoghese intravede una scrittura nuova, inedita nelle capacità affabulatorie di Peixoto, ogni due settimane presente sul più importante giornale culturale del paese, Jornal de letras. Lui che proviene da una provincia tradizionale, l'Alentejo, dove è nato nell'anno in cui il Portogallo tornava alla democrazia. «Non ho mai vissuto sotto la dittatura, privato della libertà. Non mi si è mai posta la necessità di posizionarmi nei confronti di un regime. Certo ci sono autori che per me sono molto importanti nella mia formazione, che sicuramente non è ancora terminata: Fernando Pessoa il maggiore poeta portoghese del XX secolo o tra i contemporanei António Lobo Antunes, che è un virtuoso della lingua e nei suoi romanzi affronta temi molto delicati della storia più recente del Portogallo, il nostro premio Nobel José Saramago che per me è un autore di riferimento». Persino in Italia ci sono blogs di suoi ammiratori e tra questi gli appassionati di musica metallica. «E' per via del lavoro con la band dei Moonspell - spiega - le persone legate a una cultura libresca pensano che la musica heavy-metal sia fatta da gente che fa rumore e grida e d'altra parte molti giovani pensano alla letteratura come qualcosa di noioso, fatta da persone noiose. Personalmente non credo in nessuno dei due stereotipi e anche il gruppo con cui ho lavorato la pensa così. Abbiamo tentato di fare una cosa nuova: un libro e un disco che ha come tema la paura. Come questa spesso inibisce, mentre dobbiamo avanzare e cercare quello in cui più crediamo». Considerati i temi, qualcuno potrebbe vedere confermati gli stereotipi sul Portogallo. «Non credo che siamo malinconici più degli scrittori di altri paesi. C'è questa idea associata al fatto che abbiamo una musica tradizionale come il fado, ma penso che sia un'affermazione che non tiene conto del fatto che oltre questa sensibilità ne esistono altre. Ho molta difficoltà nei confronti della parola saudade che è "venduta" come un sentimento portoghese, perché penso che i sentimenti non hanno patria, paese o lingua, ma appartengono agli esseri umani di ogni parte. Per questo se esiste una saudade nei miei libri penso che sia la stessa che esiste nei libri italiani come in quelli giapponesi». Della tradizione vuole conservare poco - le radici sono importanti ma l'essenziale sono i fiori - e con un certo orgoglio rivendica di aver fatto parte fin dall'inizio del Bloco de esquerda che in questi giorni ha polemizzato con Sampaio per le sue non scelte sull'aborto. «Mi intristisce la decisione del Presidente della Repubblica. Comunque la maggioranza del popolo portoghese vuole questo cambiamento e quindi questa legge retrograda e criminalizzatrice verso le donne presto o tardi cambierà».

Critica de Questa Terra ora crudele/Morreste-me, in La Reppublica

 

Di Marco Lodoli

 

Il futuro dell' editoria come di qualsiasi iniziativa umana sta nell' entusiasmo e nella conoscenza: c' è un gran bisogno di persone che sappiano fare bene il loro lavoro e che ci investano energie giovani e appassionate. Un esempio è sicuramente "La Nuova Frontiera", piccola casa editrice romana specializzata in letteratura spagnola e portoghese, che ha già pubblicato autori ancora poco noti in Italia, ma molto interessanti. Uno di questi è José Luis Peixoto, classe 1974, poeta e romanziere, considerato l' enfant prodige della letteratura lusitana. La Nuova Frontiera ha stampato i suoi due romanzi, e ora ci propone il suo primo testo, Questa terra ora crudele, uno struggente canto d' amore per il padre scomparso. Fa piacere scoprire che non tutti i giovani scrittori del mondo sono iscritti all' albo dei giallisti sanguinari o dei postmoderni più artefatti, che c' è ancora qualcuno che sfugge alla morsa delle ipernarrazioni, fatte di mille piani, mille personaggi, mille inutili incastri e digressioni per guardare con sgomento dritto per dritto negli occhi scuri della vita, e reggere quello sguardo fino in fondo. Peixote è un narratore lirico, un poeta che distilla il mosto ribollente del cuore e ne trae una grappa concentratissima di parole, un liquore che ci prende la testa. Scrive Peixote: «Ho pensato non potrebbero gli uomini morire come muoiono i giorni? Così, con uccelli a cantare senza sussulti e la chiarità liquida vitrea in tutto e il fresco soave fresco, il mondo inerte o che si muove calmo e il silenzio che cresce naturale naturale, il silenzio atteso, finalmente giusto, finalmente degno?». Non potrebbe essere così ogni addio al mondo? E invece sono ospedali e cure, speranze e disperazioni, e mentre un padre se ne va nel dolore, un figlio rimane da solo a raccontarlo, con parole leggere e taglienti come pezzi di vetro, cercando inutilmente di ricomporre la finestra affacciata sui ricordi.

Crítica al romanzo Una Casa nel Buio/ Uma Casa na Escuridão, in Strada Nove, 16/06/2004.

 

Davide Berselli.

 

Il senso di tutto, alla fine, è l'amore. È per dire questa semplice disarmante verità che Josè Luis Peixoto ci consegna il suo nuovo romanzo, “Una casa nel buio”, edito da La Nuova Frontiera come il precedente “Nessuno sguardo”.


Tra i due libri risuonano numerose assonanze: lo stesso canto della solitudine che l’autore portoghese innalza senza scadere nella lamentela, la stessa dimensione epica e fantastica dei personaggi e delle vicende narrate, la stessa, ineluttabile forza di gravità che sprofonda uomini e donne nella rete del destino.


C’è una casa, lontana da tutto e tutti, dove vivono uno scrittore, sua madre e una schiava. A sconvolgere la loro vita arriva prima l’emozionante scoperta della musica, nel corpo di un violinista, e poi la cieca violenza degli invasori, guerrieri crudeli che mutilano gli abitanti della casa ai quali si aggiungono il principe di calicatri, il visconte di dedodida e nessuno.


Peixoto ci regala un piccolo universo allegorico dove convivono odio e amore, violenza e affetto; è una realtà dove il passare del tempo non ha importanza, perché sono i gesti del presente che contano, sono le pulsazioni del cuore che governano ed ordinano la giornata. Potremmo definire “Una casa nel buio” un romanzo a tema, ma per la forza del suo messaggio, per la sacralità degli argomenti, per la delicata attenzione con la quale questi sono trattati, forse è più giusto parlare di parabola. Niente di trascendentale nell’opera di Peixoto, che anzi è solido nel parlare dell’uomo e dei suoi istinti; eppure, c’è un senso religioso nel trattare la storia, un rispetto profondo nel parlare d’amore, il motore della vita e dei suoi accidenti. Lo stesso modo di scrivere del portoghese, con le sue formule ripetute, con il suo andamento da litania, le invocazioni ricche e poetiche, avvicinano la prosa alla forma della preghiera: non è forse indicativa la scelta di brani dal Libro dei Salmi come epigrafi dei sette capitoli?


Peixoto è grande nell’avvicinarsi ad un tema immenso e difficile come l’amore senza scottarsi: perché non è presuntuoso eppure è un ottimo narratore, perché non parla complicato eppure è profondo. Ogni singola parola, ogni personaggio, ogni brandello della storia è fatto d’amore; i protagonisti di “Una casa nel buio” si aggrappano come naufraghi all’amore per non cadere nel buio e nella morte, per vivere. E chi legge Peixoto si aggrappa alla sua poesia per non scivolare nel grigio che ci circonda.

Critica de Una Casa nel Buio/Uma Casa na Escuridão, in L'Unità

 

De Sergio Pent

 

 

Nella dimensione onirica delle narrazioni estreme, dove linguaggio e sperimentazione testuale diventano il metro di misura di un confronto sempre aperto con le potenzialità del romanzo, si muove la penna ‑ o la tastiera ‑ del trentenne portoghese José Luis Peixoto. Anche il suo secondo tour de force nel gorgo della parola sfruttata alle sue massime potenzialità espressive viene tradotto dalle edizioni La Nuova Frontiera (Una casa nel buio , pagg 267, euro 16,50), coerenti ‑ ed eleganti ‑ nel perseguire una loro discreta, ponderata ricerca nell'area narrativa portoghese e spagnola. I nomi che rimbalzano in questo nuovo libro ‑ soffocante, coraggioso, mortifero ‑ occuperebbero lo spazio di mezza recensione, per cui diremo solo che, se anche si può accennare alle radici virtuali di un Faulkner, sono ben riconoscibili i tratti ereditari del Saramago più recente, impegnato in un aspro confronto tra ricerca e meditazione sul declino antropologico dell'occidente. Peixoto insegue una personale teoria narrativa che sembra perdersi nei meandri dell'inesplicabile, là dove allegoria e metafora rischiano talvolta di perdere il contatto diretto con il lettore. È comunque un'impresa ammirevole, dettata dalla volontà di ricerca spesso difficile da trovare nei giovani narratori: Eggers, Safran Foer, sono questi ‑ forse ‑ i nomi più vicini alle ossessioni di Peixoto. Ma in questo delirante Una casa nel buio che si allontana ancor di più dal simbolismo già coriaceo del precedente Nessuno sguardo, nonché la deviazione un po' ribelle e anarchica dalle grandi autostrade tracciate da Cortàzar, Borges e Calvino.


La sostanza del romanzo risiede tutta nella sua reiterata ossessione, impalpabile quanto granguignolesca, senza tempo né spazio e tuttavia calata nell'attuale paura di nuove orde barbariche che distruggano la fragilità del nostro benessere. La casa è immersa nel buio, popolata di gatti vagabondi e abitata da un io narrante giovane e già famoso scrittore, da una madre vedova e dalla schiava miriam: tutti i nomi sono in carattere minuscolo, come per nascondersi al fragore degli eventi. Lo scrittore cerca l'amore estremo nel delirio per una donna morta che vive nei suoi pensieri, la madre e miriam recuperano ‑ o spengono ‑ l'orrore per la morte del padre e della schiava maddalena, amanti e suicidi. Quando dai confini del buio l'impero è invaso da orde barbariche spietate, alla casa arrivano altri personaggi, il principe di calicatri, il visconte di dedodida, il violinista e il signor nessuno, subito raggiunti e mutilati dagli invasori. Allo scrittore vengono tagliate braccia e gambe, al principe estirpato il cuore, la schiava miriam è l'oggetto con cui si intrattengono i barbari, in una discesa verso la distruzione della civiltà che rappresenta la più atroce delle allegorie possibili. Difficile valutare - e spiegare - l'entità fisiologica di certe relazioni testuali, paradossali quanto metaforiche. Rimane dentro, alla fine, la sensazione di un virtuosismo non gratuito, di una ricerca viscerale della parola «amore» che passa attraverso l'intreccio di questi destini assoluti, attraverso il sangue, la peste, la distruzione che da sempre caratterizzano la Storia quando il mondo sembra esplodere per poi ricominciare a girare.

Critica di Questa Terra ora Crudele/Morreste-me, Bolletino Università di Bologna, I-II Semestre 2005

 

Di Silvia Cavalieri

 

José Luís Peixoto è ben contento che Questa terra ora crudele sia la sua prima opera perché è praticamente sicuro che da questo breve libretto, scritto a soli ventidue anni, non prenderà mai le distanze: «Tanti autori rinnegano i loro esordi letterari e fanno di tutto per farli dimenticare; io, invece, che se leggo un testo che ho scritto una settimana fa già non mi ci riconosco più del tutto, ancora oggi non aggiungerei né toglierei una riga a Questa terra ora crudele», diceva lo scrittore portoghese, durante un incontro a Bologna, l'11 maggio 2005.


Il segreto del «permanere intatta» di questa opera sarà forse l'estrema autenticità della sua ispirazione, quell'urgenza espressiva che il lutto spesso genera (ma che, al tempo stesso, ostacola, dando origine spesso a un balbettio impotente o a scritture-sfogo che non riescono a farsi letteratura) coniugata con un «periodo di decantazione» di circa quattro anni, prima che Peixoto prendesse la decisione di pubblicarla, nel maggio del 2000, in un'edizione da lui stesso finanziata, che ottenne un grande successo in Portogallo e si esaurì in poco tempo. Il libro verrà poi ripubblicato, nel febbraio 2001, dalla Temas e Debates, la casa editrice lisboneta con cui è uscita la maggior parte dell'opera di questo autore, dopo il grande successo del suo primo romanzo, Nessuno Sguardo, vincitore, fra l'altro, del prestigioso «Prémio Saramago».


Si tratta di un testo difficilmente classificabile secondo le scansioni canoniche, una sorta di lunga lettera al padre prematuramente scomparso, in cui si condensano il dolore straziante per questa perdita irreparabile e l'iniziazione del giovane autore alla vita adulta, l'assunzione su di sé dell'eredità morale che il padre gli ha lasciato e che lui si impegna a mantenere e a trasmettere. E la sovversione, nell'ordine delle traduzioni italiane, della cronologia reale delle opere di Peixoto fa sì che questo breve scritto - una sessantina di pagine scritte a caratteri grandi e righe rade che sembrano quasi un invito a soppesare ogni parola e trasmettono bene l'idea della cura con cui questo autore compone i suoi testi - si affacci sul panorama letterario nazionale come una conferma. Conferma non solo perché abbiamo la sensazione di trovarci davanti a una scrittura che debutta già matura, dotata dello stile inconfondibile che ha siglato uno dei successi più rapidi e repentini nella letteratura portoghese contemporanea, ma anche perché la promessa che il giovane figlio fa al padre defunto in Questa terra ora crudele, la promessa di non dimenticare e di riportare in vita il loro mondo («Lo porterò davvero, padre. Il mondo solare. Lo riconoscerò perché non l'ho dimenticato. E vi sarà di nuovo anche il tempo, e anche la vita. Senza di te e sempre con te.», p. 60), il lettore sa che è già stata mantenuta e che Peixoto ne rinnova l'adempimento con ogni suo scritto che vede la luce: il figlio diventa così «il ragazzo custode di vita che sempre hai voluto ch'io fossi» (p. 15) e lo fa con gli strumenti della letteratura, facendo della sua scrittura la testimonianza di un mondo in rovina, salvato dall'oblio del silenzio e riportato a nuova vita attraverso la parola. Lo scrittore allora, perduta la spensieratezza di un'infanzia felice e gonfia d'affetti, accetta la sua condizione di «bambino in rovina» e fa della sua scrittura una custode del passato, ribadendo la parentela stretta che intercorre fra letteratura e memoria, una memoria viva, carnale, «un miscuglio di carne e luce o ombra» (p. 16), dove luce e ombra, due elementi basilari nella poetica di Peixoto, non si elidono, ma si affiancano a delineare i tratti di un universo costituzionalmente ossimorico, dove le dicotomie astratte non esistono e tutto si fonde e si confonde in un caos che ricorda molto da vicino il mondo. E in effetti, la scrittura si allaccia, in questa prospettiva, sia alla vita (che nella sua versione più autentica è soprattutto amore) sia alla morte, come una trama di buio e di luce, che trova un'immagine molto poetica nel secondo romanzo di Peixoto, Una casa nel buio, in quella figura femminile che prende forma dentro al protagonista un giorno, a partire dai punti di luce che ci rimangono negli occhi quando li richiudiamo e continuiamo a vedere. La stretta relazione che intercorre fra questo personaggio e la scrittura è messa in evidenza lungo tutto il romanzo: lei è il testo, è il senso stesso delle parole, è attraverso la scrittura che il narratore le si avvicina fin quasi a sfiorarla ed è solo attraverso le parole da lui scritte che il loro amore è possibile. Lei stessa scomparirà tristemente a partire dal momento in cui il protagonista, crudelmente menomato delle braccia e delle gambe per opera dei soldati invasori, non potrà più scrivere. L'identificazione tra questa donna - la sola donna che il protagonista abbia mai veramente amato - e la scrittura è totale, come sottolinea anche Vincenzo Russo nella postfazione, ma vi è un particolare estremamente significativo che merita, a mio avviso, più attenzione: il momento in cui il narratore si reca al cimitero insieme al suo migliore amico, il principe di calicatri, per vedere il luogo in cui verrà sepolto il suo editore e rimane sconvolto davanti a una tomba con sopra la fotografia proprio della donna che lui ha dentro, con su stampata una data di morte che risale a molti anni prima (v. pp. 51-52). Questa scena trova una spiegazione plausibile proprio grazie alla parentela strettissima che intercorre tra la letteratura e la morte: la letteratura è frutto di un'indigenza ed è nel lutto che essa si genera. A partire da questo attraversamento del trauma prende vita e lei stessa si fa sostanza vivificante: la centralità della morte è evidente nel titolo portoghese di Questa terra ora crudele che è Morreste-me. La scelta di cambiare completamente il titolo, nella versione italiana, frutto forse anche, come sottolineava Paolo Nori durante l'incontro a Bologna, di una certa allergia della nostra editoria nei confronti della parola «morte», mi pare tuttavia condivisibile anche in virtù del fatto che una traduzione letterale come «Mi sei morto» perderebbe molta della densità che la particolare formazione del riflessivo in frase affermativa conferisce al portoghese: da un'unica sferzante parola a tre, con una notevole dispersione degli effetti. Il titolo scelto, estrapolato dalla prima frase dell'opera che ricorre altre volte nel corso del romanzo sempre in posizioni importanti, oltre ad avere un ritmo molto bello, ha il merito di porre al centro dell'attenzione il tema della crudeltà. Un tema cruciale nell'opera di questo autore, che si inserisce all'interno di una topica estremamente viva nell'ambito della letteratura portoghese, soprattutto contemporanea, che è quella della colpa: una colpa assurda e incontrastabile, un fardello che tutti gli uomini devono portare e di cui nessuno è veramente responsabile, come sottolineano le parole di Margaret Atwood che Peixoto ha scelto di mettere come epigrafe di Una casa nel buio e su cui scelgo di congedarmi:

Non dire così, dice lei. Non è colpa mia.
Neanche mia. Diciamo che ci tocca pagare
per i peccati dei nostri padri.
È inutilmente crudele, dice lei in tono freddo.
Quand'è che è utile la crudeltà? dice lui.
E in che quantità? Leggi i giornali
Non sono stato io a inventare il mondo.

 

José Luís Peixoto, Questa terra ora crudele, traduzione di Giulia Lanciani, Roma, La Nuova Frontiera, 2005







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