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Critica de Una Casa nel Buio/Uma Casa na Escuridão, in Liberazione.
De Marco Peretti
Eros e Thanatos, amore e morte, un campo di battaglia che ha per posta in gioco la vita, la conservazione della specie umana. Sperare di placare questo conflitto con la musica, la letteratura, le arti può essere un'illusione. «E' già notte e i barbari non vengono. / E' arrivato qualcuno dai confini a dire che di barbari non ce ne sono più. / Come faremo adesso senza i barbari? / Dopotutto quella gente era una soluzione».
L'attesa dei barbari può essere un buon alibi al disagio della civiltà, che è poi il disagio di convivere con noi stessi, ma dietro i versi del grande poeta greco Kavafis si nasconde, ironico, l'avvertimento: il problema è dentro di noi. Lo stesso grido di speranza e di ricerca d'amore che in toni surreali sembra lanciare José Luís Peixoto nel suo romanzo Una casa nel buio (trad. di Vincenzo Russo, La Nuova Frontiera 2004, euro 16,50) ma forse è già tardi e i barbari possono ancora essere utili.
Appena trentenne, José Luis Peixoto è già riconosciuto come una certezza della nuova letteratura portoghese. La sua vena malinconica è una lenta rappresentazione dell'elaborazione del lutto per un mondo sempre più in rovina cui il poeta, però, guarda ancora con gli occhi stupiti del bambino. L'immaginato si sovrappone al vissuto, il surreale e l'onirico ‑senza scansione del tempo ‑ diventano necessità del presente. La maturità della sua scrittura ‑ scarna ma essenziale ‑ cela il piacere per la poesia, per il verso che ritorna. La ripetizione è ostentata, quasi a negare la ricerca dei sinonimi, a negare la prosa. Romanzi, i suoi, che vanno letti a voce alta per goderne del ritmo.
Primo capitolo. L'amore. Un colpo d'ascia e il padre del narratore, ormai in fin di vita, uccide la schiava. Il figlio, allora bambino, aveva sentito tante volte la madre alzare la voce per coprire i suoni da uomo e da donna che uscivano dalla stanza chiusa e quel giorno pensò che quello era il senso più profondo dell'amore, per quello la madre avrebbe voluto esser al posto della schiava. Ora le notti son passate e come il padre che scriveva sonetti il narratore è uno scrittore. A chi gli domanda cosa scrive risponde che scrive se stesso. Lui sa che quando chiude gli occhi la vede, sa che è bellissima, la scrive e l'ama. Quel volto immaginato è identico a quello incorniciato su una tomba e quindi un giorno scoprirà che ha un cadavere dentro di sé.
Ultimo capitolo. La morte. La casa brucia. Brucia la scrivania su cui il padre scriveva sonetti, brucia il divano su cui la madre si era sdraiata tante notti, ma lei, tra le fiamme, o lei fiamma, torna per dirgli «ti amo». Il narratore nella casa che brucia per un momento è felice e muore.
«La felicità come l'amore sono momenti… momenti che la fine rende ridicoli... ma ridicoli solo prima e dopo... Non si deve aver vergogna di esser felici per qualche momento. Non si deve aver vergogna del ricordo di esser stati felici per qualche momento».
Tra l'amore e la morte nella casa nel buio, lenti passano i giorni ‑ indifferenti per il poeta che non crede più al futuro ‑ e scorre l'allegoria di Peixoto su una civiltà che non si volta più quando sente enunciare la parola amore. È una civiltà che ha bisogno dei barbari. I barbari sono una soluzione e puntualmente arrivano, mutilano, violentano, brutalizzano. Sono barbari.
Al Signor Violinista - nella casa avevano inventato le sette note - tagliano le mani e non potrà più suonare. Alla madre dello scrittore conficcano un ago nei timpani e non potrà più sublimare il dolore con la musica. Allo scrittore recidono braccia e gambe, così da diventare un giocattolo per il divertimento dei bambini dei soldati di ferro, e al principe di Calicatri, suo amico, è rimasto solo un buco rosso vivo al posto del cuore. E poi la schiava Miriam, Nessuno, il visconte di Dedodida: esseri poco umani - dai passati amori inibiti - costretti, per far fronte al buio, a tradursi in una comunità solidale. Sette personaggi, sette capitoli, «sette volte il giorno io ti lodo», recita uno dei Salmi dell'Apocalisse. Sette è il numero perfetto - dei peccati delle virtù - e sette volte il giorno i fedeli più devoti volgono la loro preghiera al Dio dei Salmi - Salmi in epigrafe, piccole lodi sul margine alto d'ogni capitolo - , un Dio che a volte sembra vendicarsi, abbandonare l'uomo, non averne più pietà.
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